La tre giorni di Monaco è terminata con un’unica certezza: i paesi NATO continueranno a supportare Kiev
Tra il 17 e il 19 febbraio si sono riuniti a Monaco di Baviera capi di stato e di governo, ministri, diplomatici, alti ufficiali militari e analisti politici da tutto il mondo. L’occasione è stata l’annuale Conferenza sulla Sicurezza, che – a distanza di un anno dall’inizio della guerra in Ucraina – ha visto coinvolti 96 Stati, con l’obiettivo di costruire un graduale progetto per la pace. Per la prima volta nessun esponente russo è stato invitato.
Ad aprire i lavori è stato Volodymyr Zelensky. Il presidente dell’Ucraina ha ribadito quanto sia necessario un flusso continuo di armi per poter contrastare l’invasione russa. “Dobbiamo vincere contro Golia. Il Golia russo può perdere già quest’anno” ha dichiarato nel suo intervento. Il riferimento all’episodio della Bibbia non è stato affatto casuale. Secondo molti osservatori, le possibilità che la “piccola” Ucraina (Davide) possa vincere contro il “gigante” russo (Golia) sono piuttosto ridotte ma con le giuste risorse (armi a lunga gittata) la vittoria potrebbe non essere così irraggiungibile.
La tre giorni di Monaco è terminata con un’unica certezza: i paesi NATO – con gli Stati Uniti in prima linea – continueranno ad inviare armi. Nello storico bilaterale con Zelensky il presidente Biden ha promesso un nuovo pacchetto di aiuti militari ed economici per un valore di 500 milioni di dollari. L’idea di base è che non si possa negoziare prima di aver ottenuto un vantaggio decisivo sul campo. Fino ad oggi gli aiuti militari si sono rivelati essenziali per porre un freno alle aspirazioni imperialistiche di Vladimir Putin ma la guerra si regge su un equilibrio precario ed il minimo errore di valutazione può innescare un’escalation drammatica. L’invio di carri armati arriverà a buon fine nei prossimi mesi mentre resta ancora in ballo la decisione sull’invio dei jet da combattimento. Ma ad un certo punto bisognerà definire la natura della vittoria militare ucraina: recuperare tutti i territori persi nel 2022? Spingersi fino alla Crimea? Oppure lasciare in mano dei russi alcune porzioni di territorio?
Pur essendo tra i leader più favorevoli al negoziato, Emmanuel Macron ha dovuto prendere atto delle circostanze, ammettendo che “non è ancora l’ora del dialogo”. Il presidente francese ha ribadito il sostegno della Francia alla causa di Kiev, precisando di volere una Russia “sconfitta” ma non “annientata” per evitare una guerra nucleare.
Parallelamente alla Conferenza di Monaco, Vladimir Putin ha organizzato un bilaterale con il presidente della Bielorussia Lukashenko. Il suo obiettivo è quello di intensificare sempre di più i rapporti con Minsk in modo da poter continuare a fare pressione da nord sull’Ucraina. Dal canto suo Lukashenko ha dichiarato di non voler attaccare Kiev, “a patto che un soldato ucraino non venga sul suolo bielorusso per uccidere il nostro popolo”. Parole che rendono più concreto il rischio di un incidente orchestrato.
Ben più rilevante è il “supporto” (mai apertamente manifestato) da parte della Cina. Nel corso della Conferenza di Monaco il capo della diplomazia cinese Wang Yi ha sottolineato l’importanza dei principi di sovranità, integrità territoriale e non interferenza negli affari interni, annunciando un piano per una pace duratura.
Non poteva mancare un attacco agli Stati Uniti, una potenza “destabilizzatrice” e “aggressiva” accusata di usare il conflitto come pretesto per perseguire interessi antirussi e anticinesi. Un approccio condiviso da Vladimir Putin che, insieme a Xi Jinping, punta a instaurare un nuovo ordine multipolare, in cui le autocrazie possano prendere il sopravvento a scapito delle liberal democrazie.
Proprio in funziona anti-americana Putin ha deciso di sospendere il trattato Start, un accordo stipulato tra Russia e Stati Uniti che regola la riduzione delle testate nucleari, poiché non vuole permettere agli ispettori americani di visitare i siti nucleari russi. Si apre dunque una nuova corsa agli armamenti nucleari.