La “dottrina Austin”, insieme all’ imprevedibilità di Putin, rischia di provocare un’escalation
“Noi vogliamo vedere la Russia indebolita a un livello tale che non possa più lanciare offensive come quella in Ucraina”. Con queste parole il capo del Pentagono Lloyd Austin ha esplicitato la strategia degli Stati Uniti in quella che è ormai diventata una “guerra per procura” dove si scontrano Russia, Stati Uniti e NATO. L’obiettivo della cosiddetta “Dottrina Austin” è quello di prolungare il conflitto per far sì che Mosca si dissangui e perda gradualmente la sua spinta propulsiva in Ucraina.
Di conseguenza il Presidente Joe Biden ha chiesto al Congresso di autorizzare lo stanziamento di 33 miliardi di dollari in aiuti militari, economici e umanitari all’Ucraina. In precedenza erano stati sbloccati aiuti militari per un valore di oltre 700 milioni di dollari, di cui 300 milioni a Kiev e 400 milioni agli alleati regionali della NATO (Paesi dell’Europa orientale, dell’Europa centrale e dei Balcani) che hanno fornito armi all’Ucraina e ora hanno bisogno di ricostituire le loro scorte.
Per convincere gli alleati ad incrementare le loro forniture di armi, gli Stati Uniti hanno convocato oltre 40 paesi – non solo quelli NATO – presso la base aerea di Ramstein in Germania. Dopo l’ultimo vertice della NATO allargata, la “coalizione dei volenterosi” ha discusso le modalità per coordinare gli sforzi e costruire una strategia comune. A più di due mesi dall’inizio del conflitto, il summit ha sancito un cambio di passo. Per la prima volta, infatti, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno parlato di armi pesanti – artiglieria pesante, missili anti-carro e anti-aereo, droni, munizioni -in grado di supportare non solo le difese di Kiev ma anche eventuali operazioni di contrattacco. C’è la certezza che l’Ucraina, se ben armata, non solo possa resistere ma anche vincere.
Ma cosa significa “vincere”?
Ma a questo punto è necessario intendersi su cosa significhi “vincere”. L’obiettivo di liberare tutte le terre ucraine occupate da Mosca (Crimea inclusa) sembra molto ambizioso, a meno di non immaginare un collasso totale della Russia. Una prospettiva di questo tipo potrebbe tuttavia innescare un’escalation nucleare.
È più probabile che “vincere” possa significare paralizzare l’offensiva russa, impedendo a Putin di ottenere risultati più significativi come il consolidamento di una porzione territoriale che parta dalla frontiera settentrionale e arrivi alla Crimea o l’isolamento dell’Ucraina dal mare.
Bisognerà capire fino a che punto gli Stati Uniti e il fronte occidentale decideranno di “indebolire” la Russia e come Putin possa reagire se messo eccessivamente con le spalle al muro. In questo momento sia la Russia che l’Ucraina puntano al massimo risultato possibile ma, perché ci sia un negoziato, è necessario che entrambe le parti rinuncino a qualcosa.
Chi c’era (e soprattutto chi non c’era) a Ramstein
Non solo i 30 Paesi NATO. Al summit di Ramstein hanno partecipato anche 14 partner esterni all’Alleanza Atlantica. In primis l’Ucraina e poi anche Svezia e Finlandia, in procinto di unirsi alla NATO nei prossimi mesi. A questi si aggiungono i quattro Paesi del Pacifico: Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia. Tra le nazioni mediorientali ci sono: Israele, che ha adottato una linea prudente; la Giordania, fidato alleato Usa al confine con la Siria filorussa; il Qatar, avamposto degli Usa nel Golfo dopo i problemi con l’Arabia Saudita. Infine, le 4 nazioni africane: Kenya e Liberia, da tempo alleati stretti della Casa Bianca; Marocco e Tunisia.
È interessante menzionare anche gli assenti, tra cui figurano anche alcuni attori illustri. Guardando al Medioriente e al Nord Africa mancano Arabia Saudita ed Egitto. Merita una specifica menzione l’Algeria, che è diventata il terzo acquirente di armi russe al mondo ed è sempre più appiattita sulla Russia. Mancano poi India, Pakistan e tutti i Paesi Asean (Sud-Est Asiatico). Mancano i paesi latino-americani più vicini a Washington (Messico, Colombia), il Sudafrica e un paese molto strategico come gli Emirati Arabi. Senza dimenticare la Cina, ovviamente. La lista dei paesi assenti è molto eloquente e ci mostra lo spazio di manovra di cui può disporre la Russia nel contesto attuale e futuro.