Come stanno andando le primarie dei Democratici?
Dopo il ritiro di Pete Buttigieg – che si era distinto tra le personalità centriste durante la prima fase delle primarie -, il fronte moderato dei dem americani è chiamato a scegliere quale sarà il “piano B” tra Joe Biden e Michael Bloomberg rispetto al frontrunner Bernie Sanders. Le primarie in South Carolina hanno rivitalizzato Joe Biden, che si rilancia in vista del SuperTuesday (il 3 marzo), appuntamento cruciale in cui voteranno 14 stati – tra cui Texas e California che raccolgono il maggior numero di delegati – e ci saranno in palio un terzo dei super delegati che nomineranno il candidato dem alla convention di luglio.
Biden ha infatti stravinto le primarie nel Palmetto State, conquistando quasi il 50% dei consensi e distanziando di circa 30 punti percentuali il senatore socialista Bernie Sanders, fermo a quota 19%. La sua vittoria era stata ampiamente prevista dai sondaggi, ma il grande margine con cui è arrivata rappresenta una vitale boccata di ossigeno e gli consente di guardare con ottimismo alle prossime tornate elettorali. Decisivo il supporto della comunità afroamericana, che rappresenta il 27% della popolazione del South Carolina e ben il 61% dei partecipanti alle primarie dem nel piccolo stato del sud-est americano. Ex vice di Barack Obama dal 2008 al 2016, Biden ha saputo sfruttare al meglio la propria popolarità tra i cittadini afroamericani, che nelle elezioni generali rappresenteranno il 25% dell’elettorato dem.
Lo stesso non ha saputo fare Bernie Sanders. Il senatore del Vermont non è infatti riuscito a raccogliere i consensi degli elettori afroamericani che – alla prima occasione in uno stato con forte presenza nera – gli hanno voltato le spalle, votando in massa per il suo rivale Biden. Una pessima notizia per il leader del fronte socialista, che ha sempre sostenuto di essere in grado di mobilitare una grande parte del voto multietnico contro Donald Trump.
Nonostante la sconfitta, Sanders si è mostrato comunque fiducioso in vista del SuperTuesday. La sconfitta in South Carolina potrebbe infatti essere rapidamente riassorbita, come dimostrano i sondaggi realizzati dalla CNN, che danno in grande vantaggio il senatore del Vermont, specialmente in stati come il Texas e la California, che da sola assegna 415 delegati.
Ora si apre una nuova fase, una fase in cui Biden potrà usufruire di un possibile cospicuo aumento delle donazioni da parte dei grandi finanziatori, che saranno portati a dare nuovamente grande rilievo alla sua candidatura e a dargli ancora una chance. L’ala centrista del Partito Democratico spinge per trovare al più presto una forte alternativa moderata a Sanders e quello di Biden sembra essere il profilo adeguato. Per sperare di poter battere Sanders, Biden deve diventare il leader di tutti i moderati. Una missione facilitata dal ritiro di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar dalla corsa delle primarie ma comunque insidiosa, considerando che Michael Bloomberg si appresta a scendere in campo e rischia di sottrarre preziosi consensi alla causa dell’ex vice di Obama.
La situazione è in divenire ma, indubbiamente, il South Carolina ci consegna un’istantanea in cui Biden si afferma come il rivale più accreditato di Sanders, nonostante le pesanti sconfitte nelle precedenti tornate elettorali in Iowa, New Hampshire e Nevada – vinte rispettivamente dalla sorpresa Pete Buttigieg e da Bernie Sanders. A questo punto della corsa alla nomination democratica, Bernie Sanders può contare su 61 delegati e Joe Biden su 53. Più indietro invece i due candidati centristi Pete Buttigieg (26 delegati) e Amy Klobuchar (7 delegati), i cui delegati dovranno ora decidere su chi ripiegare ed Elizabeth Warren (8 delegati).
La discesa in campo di Michael Bloomberg nel SuperTuesday può rimescolare le carte della partita e rappresentare un’incognita per la competizione tra i Democratici. L’ex sindaco di New York può infatti contare su risorse pressoché immense dato il suo patrimonio: basti pensare che ha stanziato 1 miliardo di dollari per la campagna elettorale e ha già speso circa 400 milioni per le pubblicità televisive.
Pur essendo nato Repubblicano moderato, ha deciso di prendere la tessera democratica dopo due anni di presidenza Trump, per tentare di dare un nuovo volto agli Stati Uniti. Bloomberg punta a pescare consensi dal fronte moderato, andando ad occupare lo stesso spazio elettorale finora occupato dal centrista Biden. Dopo le primarie in South Carolina, sarà perciò interessante verificare quale sarà l’impatto della vittoria di Biden sugli elettori moderati negli altri stati e sulla candidatura di Bloomberg, inizialmente indicato dai sondaggi come il possibile capofila del blocco moderato.
Il primo dibattito pubblico tra i democratici – avvenuto lo scorso 19 febbraio a Las Vegas – ha acceso i riflettori su Bloomberg, ritenuto il candidato più competitivo e per questo attaccato pesantemente dagli altri candidati dem, oltre che da Trump.
Per ottenere il maggior numero di preferenze tra gli elettori democratici, Bloomberg deve necessariamente fare i conti con il suo passato repubblicano. In primo luogo, deve ricucire lo strappo con la comunità afroamericana, originatosi quando era sindaco di New York con lo stop and frisk, una prassi di perquisizioni senza mandato indirizzate contro le minoranze e i giovani afroamericani. Scrollarsi di dosso quel tipo di politica diviene indispensabile per Bloomberg ed il suo programma va in quella direzione, proponendo di stanziare 22,5 miliardi al fine di ridurre la popolazione carceraria del 50% entro il 2030.
Per dribblare al meglio le accuse di Sanders ed allontanarsi dal mondo repubblicano, Bloomberg propone di tassare i redditi più alti, le transazioni finanziarie e regolamentare la grande finanza. I soldi così guadagnati – 50 miliardi secondo le stime – andrebbero a finanziare programmi di welfare e a riformare il sistema educativo, rendendo gratuiti i primi due anni di università per gli studenti con il reddito più basso. La sua proposta si pone sulla scia di quelle di Elizabeth Warren e di Bernie Sanders, che – seppur diverse nei numeri – mirano a reinvestire l’eventuale incasso sul welfare ed in particolare sulla sanità pubblica, gratuita ed universale.
Nella lunga campagna elettorale per le presidenziali – che si concluderà il 3 novembre 2020 – la frammentazione in casa dem si traduce nella contrapposizione tra moderati (Michael Bloomberg e Joe Biden) e radicali (Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, anche se in seconda fila) ma in ogni caso – per chiunque vincerà le primarie – non dovrebbe essere difficile proporre un modello di America sostanzialmente diverso da quello di Trump, sintesi perfetta di ciò che negli Stati Uniti si intende per “destra”.